Improvvisamente l’estate scorsa un amico mi fece ascoltare per la prima volta Videogames di Lana Del Rey, e fu un colpo di fulmine.
Di voci notevoli ce ne sono tante, ma non sempre il pezzo è all’altezza. In questo caso, invece, c’era proprio quella magica alchimia di musica, testo e una voce mai sentita prima che purtroppo capita sempre più raramente (mi vengono in mente, scrivendo, altre estati molto più lontane: quella del 1978 quando in radio impazzava Wuthering Heights di Kate Bush; o quella dell’81 in cui il tormentone di turno era Bette Davis’ Eyes cantata da Kim Carnes; o anche quella di quattro anni dopo quando si sentiva ovunque Duel dei Propaganda).
Lui – canta Lana con quella voce languida e appannata – fischietta il suo nome e si stappa una birra, lei (che pure indossa il vestito e il profumo preferiti dal suo uomo) comincia a spogliarsi e cerca di baciarlo, ma lui sembra molto più interessato ai suoi videogiochi. Un gioiello quasi perfetto di sensuale malinconia.
Il pezzo – accompagnato da un furbissimo video finto-amatoriale su YouTube – spopola in rete da subito, e il passaparola cresce. Quando finalmente è disponibile per il download in autunno arriva ai primi posti delle classifiche in Inghilterra, Francia e Germania. E a fine anno i critici del Guardian, del New Musical Express, e di Les Inrocks sono tutti d’accordo con chi scrive: Videogames è il pezzo migliore del 2011. Ma chi è Lana Del Rey?
Di lei si sa che ha 25 anni dichiarati, che è nata a New York, e che il suo nome vero è Elizabeth (Lizzie) Grant. Nel video del singolo e nelle sue foto, in cui spesso gioca a fare la lolita o la fatalona, sembra una ragazza molto bella, anche se di una bellezza un po’ artefatta. Naso e bocca hanno probabilmente già subito ritocchi, ciglia e unghie sono vistosamente finte. Si è scritto tanto su questo, forse troppo. Icone del pop inossidabili come Madonna o più recenti come Lady Gaga si guardano bene dal comparire in pubblico come si vedono allo specchio appena alzate, e su uno dei suoi ultimi dischi Loredana Bertè ha ringraziato il chirurgo estetico con tanto di foto dedicata. La spontaneità – da Michael Jackson fino a Marilyn Manson – è di rado la qualità principale di una popstar, e Photoshop un preziosissimo alleato. C’è da stupirsi se di questi tempi, in cui molte ragazzine chiedono il seno nuovo a mamma e papà per i diciotto anni, una venticinquenne di belle speranze non disdegna le iniezioni di collagene e si è regalata il nasino all’insù?
Più interessante è il passato musicale di Lizzie/Lana: prima di farsi coniare il nome d’arte con ovvi rimandi alla Hollywood dei tempi d’oro aveva già fatto uscire – con quello vero – un album di torch songs un po’ acerbe, ma poi – forse pentita degli arrangiamenti troppo scarni o dalle labbra in copertina troppo sottili – l’ha fatto ritirare (anche se in Rete qualcosa si trova). Anche per questa mossa le critiche non sono mancate: la Del Rey con un passato da nascondere, la Del Rey costruita a tavolino, la Del Rey fake. Ma quanti dei suoi detrattori si dimenticano che Annie Lennox e Dave Stewart, prima di scoprire i synth e di regalarci il sublime pop elettronico degli Eurythmics, sbarcavano il lunario nei Tourists rifacendo cover in chiave folk rock? O che Jovanotti, molti anni prima di diventare il raffinato cantautore di oggi, si cimentava con la dance più fracassona con lo pseudonimo di Gino Latino sotto l’ala di Claudio Cecchetto? E che dire di Tori Amos, che prima di mettersi al piano e cantare di aborti e violenze subite aveva fatto uscire Y Kant Tori Read, uno sguaiato pasticciaccio pop-rock in cui scimmiottava Pat Benatar? Lana non è certamente la prima a dare un taglio al passato e a cercare di ricominciare da capo, e colleghi ben più illustri di lei hanno scheletri nell’armadio di gran lunga più ingombranti del suo primo disco.
Certo, ha ancora molto da dimostrare. Il suo secondo pezzo del 2011, Born To Die – con un video molto più camp del precedente in cui lei appare in un castello seduta su un trono in abito da sera con due tigri accanto – è quasi riuscito quanto il primo: abbarbicata in auto a un prestante e tatuatissimo fidanzato, Lana gli sussurra nelle orecchie che loro due sono nati per morire, ma poi si accontenta di lanciare sguardi lugubri e imbronciati dal finestrino senza allacciarsi le cinture, mentre lui, probabilmente sbronzo e incurante dei limiti di velocità, sfreccia sull’autostrada verso un tragico destino. Atmosfere molto American gothic, e la Del Rey è al meglio di sé quando canta con quel tono dolente ed estenuato tanto da sembrare quasi annoiata della vita.
Convince per ora un po’ meno nelle apparizioni dal vivo, ma forse è solo questione di una mancata gavetta. La voce c’è per davvero, ma lei all’inizio sembra sempre troppo emozionata. Poi via via prende coraggio, sorride persino un po’, e le cose vanno decisamente meglio. Paura dei riflettori, probabilmente.
Sono già reperibili in Rete parecchi demo del suo nuovo album, ma non tutti sono straordinari quanto Videogames: in più lei ha ancora la tendenza a eccedere un po’ quando si atteggia a smorfiosetta impertinente. Molto meglio la Lana sconsolata di A Star For Nick, un pezzo registrato a 17 anni per sola voce e chitarra che già ne metteva in luce talento e potenzialità (http://tinyurl.com/78qv4j5).
Di certo questo è il suo momento: il 2012 è iniziato da poco, il suo primo album ufficiale – anch’esso intitolato Born To Die – è in uscita, e tutti non fanno che parlare di lei. Un successo quasi scontato, ma è nata una nuova stella o Lana è soltanto una meteora? Voce, bellezza e ambizione non le mancano, ma per durare non bastano. Vedremo: il gioco del pop è fatto anche di questo.