La prima conferenza pubblica di un rom omosessuale dichiarato si è tenuta a Milano il giorno del pride, lo scorso 25 giugno. Anche se Valter non ci abita, Milano era la città ideale per un coming out e un’uscita del genere, dopo la scatenata campagna leghista sul rischio che il capoluogo lombardo diventasse una “zingaropoli” con la vittoria di Giuliano Pisapia alle ultime elezioni amministrative. Pisapia poi, com’è noto, ce l’ha fatta e gli incubi leghisti si sono materializzati. La conferenza infatti si intitolava “Gaya Zingaropoli” e si è tenuta all’aperto, nei Giardini di Porta Venezia, accanto all’allestimento dei carri, con la partecipazione delle consigliere comunali Patrizia Quartiere e Anita Sonego e del coordinatore del pride di Milano Marco Mori.
Per raccontare di Valter Halilovic è indispensabile la premessa di come l’ho conosciuto. Sembra una battuta. Avevo chiesto a vari operatori sociali rom se conoscevano   uno “zingaro musulmano omosessuale”. L’avevo chiesto  paradossalmente, per polemizzare coi manifesti milanesi sul rischio della “zingaropoli islamica” e coi titoli di Libero sulla “mecca gay” che Pisapia avrebbe propugnato. “Certo che esiste – mi hanno risposto – e non è un timido emarginato, è un mediatore culturale.”  Poi alla fine il contatto l’ho avuto dal Circolo Maurice di Torino, con cui Valter ha collaborato. Ed eccomi a fare un’intervista e a organizzare la conferenza di Milano con questo 32enne dall’accento completamente italiano, nato a Torino ma di nazionalità bosniaca, e di matrice musulmana. È molto auto-ironico ma anche molto appassionato alla difesa dei diritti e dell’identità rom. È una caratteristica che ha preso dalla madre, che è stata ed è tuttora una donna molto impegnata nella rappresentanza del suo popolo.
L’obiettivo più importante per Valter, quando ha accettato la mia proposta di fare la conferenza a Milano, era di avere un coinvolgimento della comunità rom e sinti nel suo insieme. E c’è riuscito, almeno come primo passo simbolico. Giorgio Bezzecchi, rom italiano e figura molto rappresentativa dei rom e sinti di Milano, ha partecipato all’appuntamento organizzato in occasione del pride su mandato del  coordinamento rom e ha promesso per l’anno prossimo di portare un carro rom alla sfilata organizzata dal movimento glbt.
Ma andiamo con ordine. Quando l’ho incontrato per la prima volta, Valter Halilovic stava per partire da Torino per Roma, per partecipare all’Europride. All’ultimo momento ha saputo che dalla sua comunità torinese stava per partire una folta delegazione per l’incontro con il papa e ha voluto assolutamente esserci, perché essere ricevuti da Benedetto XVI è un riconoscimento storico per i rom. E così col fido cugino Sergio, Valter è stato l’unico partecipante “ufficiale” a entrambi gli appuntamenti: alle 12 in Vaticano e al pomeriggio all’Europride…
“Sono andato dal papa perché ha incontrato i rom. Poi al pride sono andato come gay, volevo manifestare la mia omosessualità. C’è una cosa da dire: dal papa mi sono divertito un casino. C’erano dei rom che suonavano e noi rom ovviamente se c’è musica si balla e si fa un po’ di delirio. Abbiamo fatto così e ci siamo divertiti. Poi siamo arrivati al pride io e mio cugino. È stato un po’ dispersivo perché c’era una folla allucinante, così scherzando ho esclamato: ‘Oddio non mi piace! Voglio ritornare dal papa!’. È stato molto carino, Benedetto, ha anche provato a dire qualcosa in lingua romanè”.
Non è un po’ strano, per un musulmano, andare dal papa e poi all’Europride?
In effetti mia nonna, che era la più religiosa della famiglia e che osservava la preghiera e il Ramadan, si rivolterebbe nella tomba. Io non sono religioso, e vedo che in generale i rom non sono bigotti e conservano tracce di varie religioni contemporaneamente. Quanto al papa, ci sono andato per curiosità e perché per noi questo incontro in Vaticano è comunque un riscatto”.
Omosessuale lo sei apertamente nella tua comunità?
Lo sanno tutti, benché io non vada in giro a dire ‘sono gay’, anche perché la parola in romanè non esiste, si usano sinonimi più volgari. Però non ho mai nascosto niente e ho sempre molto ironizzato. Con l’ironia, scherzando, ho evitato di essere messo in difficoltà. Del resto mi rispettano perché sono uno dei più informati e attivi nella difesa dei nostri diritti. L’ho preso un po’ da mia madre, che sa tante lingue e che è stata una dei leader della nostra comunità.
Vieni quindi da una famiglia rom privilegiata, integrata?
Mia madre ha messo al mondo 12 figli, e in 10 siamo vivi. Ho 4 fratelli e 5 sorelle. Quando sono nato non vivevamo neanche nel campo rom, ma in giro da soli e basta. Eravamo girovaghi, nomadi per tutto il nord, e vivevamo sostanzialmente di elemosina. Poi abbiamo cominciato ad abitare in campi e, noi più piccoli, ad andare a scuola. Ci hanno dato una casa popolare solo pochi anni fa.
Ti sentivi omosessuale già da piccolo?
In un certo senso sì. Tra l’altro a sette-otto anni giocavo con le bambole con le mie sorelline. I miei genitori pensavano che fosse una fase. Poi a undici anni sono stato iniziato al sesso da un parente lontano un po’ più grandicello, ne aveva quindici. Non ti scandalizzare, noi a quell’età siamo più ‘grandi’ di voi. A 11-12 anni sei già adolescente, a 15 sei un giovane. A 16 ti sposi, nel senso che fai il rito rom, che poi è fidanzamento e matrimonio assieme.
E tu come hai fatto a evitare la convenzione sociale?
Non l’ho evitata del tutto. A 17 anni mi sono sposato con una ragazza, non ero sicuro di come ero, volevo provare. E poi ho capito abbastanza presto che non era la mia strada, ci siamo separati da buoni amici. Da allora ho avuto anche varie relazioni, con maschi sia rom che italiani”.
Questi matrimoni di cui parli hanno un valore legale in Italia?
No. Sono cerimonie nostre. E poi in un futuro se si vuole si possono legalizzare. È un contratto tra le famiglie, che tutti comunque conoscono e rispettano. Quando mi sono sposato avevamo tutt’e due diciassette anni. A 18 ho parlato con lei, le ho detto com’era la situazione e… mi sono messo con un suo cugino..
E lei l’ha accettato?
Si! Mi sono messo con il cugino della mia ex moglie. E lei lo sapeva e ci teneva il gioco. Siamo stati insieme, io e questo ragazzo per un annetto. Ma nascosti. Dormivamo nella stessa roulotte. Eravamo “amici”.
Immagino che fra i rom l’omosessualità sia un tabù…
Sì, ufficialmente lo è ma in realtà… se prendi l’iniziativa quasi tutti ‘ci stanno’. L’importante è essere sicuri dentro di sé, e io sono stato bene perché mi sono accettato abbastanza presto. Ne conosco altri che non ti parlerebbero mai della loro omosessualità come sto facendo ora con te. Io non ho detto che era tutto rose e fiori, per andare avanti devi essere ottimista, se no stai a casa a non fare niente. La comunità rom ti può accettare se sei gay. Però alcuni dicono: “Anche se sei così ti puoi ugualmente sposare. Poi puoi avere un’altra vita, te la fai fuori dal campo, perché quella vita lì non si porta nel campo.” C’è anche questa realtà. C’è un altro mio cugino che è così come me. Lui è sposato, ha figli e poi ha un uomo e vive con lui in una casa.
Come hanno accolto la notizia della tua omosessualità le persone che ti sono vicine?
Ho avuto la fortuna di avere una madre spettacolare che mi ha sempre protetto e ha sempre messo una buona parola per me. Mio padre era titubante fino a 5 anni fa. Poi diciamo che ha capito che la cosa più importante è che sono suo figlio, la sessualità non deve contare.
Pensi che i campi rom debbano e possano essere eliminati e che tutti dovrebbero avere una casa popolare come quella in cui vivi adesso con la tua famiglia?
Organizzare si, eliminare no: non so se sia possibile e non so neanche se sia giusto eliminare i campi. Ti confido una cosa: non sempre sono felice di abitare in casa. I campi rom, quando si risolvono i problemi di riscaldamento e docce, sono una bella situazione, simpatica. È un po’ come stare in campeggio.
Come sei diventato mediatore culturale?
Grazie a una disavventura che poi alla fine si è rivelata positiva. Una sera, ancora minorenne, ero in giro con dei ragazzi un po’ più grandi e spregiudicati di me, avevano rubato un’auto e io sono rimasto con loro. Così hanno arrestato anche me. Il tribunale dei minori mi ha concesso il perdono giudiziario a patto che io frequentassi dei corsi professionali. Adesso aiuto col mio lavoro anche altra gente, non solo rom, per esempio i profughi del Darfur.
E che cosa ne pensi della destra che parla contro gli zingari, gli islamici, i gay?
Mamma mia, se avessero vinto le destre di nuovo avrei pensato di cercare lavoro all’estero. La sinistra? Però, sai, la “zingaropoli islamica” e la “mecca gay”, per me sarebbero una manna dal cielo.
Le elezioni a Milano le hai seguite?
Ho fatto due giorni di volontariato per Pisapia. Lui non lo sa che c’era anche uno zingaro gay a dargli una mano. Sono venuto qua (da Torino dove abito) e ho fatto volantinaggio perché quando ho visto che si andava al ballottaggio mi sono detto che era il caso di partecipare. E poi ho fatto festa. La speranza è che la gente capisca che siamo anche noi delle persone. Rom, gay o qualsiasi altra etnia o gruppo siamo delle persone. Abbiamo minimi diritti, non chiediamo tanto. Chiediamo anche di lasciarci in pace come rom: ci tartassano con di tutto e di più. Ci sono da abbattere delle discriminazioni e dei pregiudizi. Quello che voglio far capire è che non tutti i rom sono ladri, anzi. A Torino l’80 per cento della popolazione rom vive nella case, lavora e si è integrata. Ci siamo adeguati al cambiamento. Nessuno ci ha obbligato. Noi giovani siamo convinti che il futuro possa portarci qualcosa di meglio.