La peculiarità della vita omosessuale moscovita, e forse russa in genere, la trovo perfettamente sintetizzata dal nome di uno dei locali gay storici della capitale: Tri Obez’jany (Le tre scimmie), che rimanda al celebre bassorilievo del santuario di Tôshôgû a Nikkô, in Giappone, in cui sono raffigurate tre scimmiette ognuna delle quali con le mani si copre rispettivamente gli occhi, le orecchie e la bocca, nel gesto di non voler vedere, sentire, né parlare. Proprio questo sembra essere l’atteggiamento tenuto dai gay russi da sempre, per quieto vivere o semplicemente per sopravvivere, in particolare nei lunghi decenni del regime sovietico, quando l’omosessualità era una malattia o un crimine da pagare con terapie coatte o finanche con la reclusione e l’esilio in Siberia per cinque anni (più due aggiuntivi se c’era il sospetto di attività antisovietica). Decenni che hanno lasciato un segno profondo e la cui ombra cupa continua ad ammorbare il presente.
Eppure durante il comunismo, una fitta rete di relazioni omosessuali non solo esisteva, ma addirittura fioriva rigogliosa, seppur sempre celata fra le pieghe della normalità, come ricorda Gian Piero Piretto, docente di lingua e letteratura russa e autore di numerose pubblicazioni sull’Unione Sovietica. A partire soprattutto dal cosiddetto “disgelo” seguito alla morte di Stalin, in generale il regime lasciava tranquilli gli omosessuali, purché restassero relegati nel loro “sottobosco” senza dare nell’occhio, e rispolverava la norma liberticida solo in caso di necessità, per punire elementi scomodi politicamente, come fu per il regista Sergej Paradžanov (Tbilisi 1924-Erevan 1990) negli anni ’70. Un “sottobosco” che, ricorda Piretto, era assolutamente trasversale e si connetteva ed espandeva con il passaparola e i contatti personali: “Se si conosceva la persona giusta, si poteva anche essere invitati a una festicciola nella dacia del funzionario di partito di turno”.
Naturalmente le cose andavano meglio nelle metropoli dell’impero come Mosca, Leningrado, Kiev, dove occasioni d’incontro si avevano anche all’aperto (parchi e giardini) o in toilette e bagni pubblici (le celebri “bani”). Ricordo io stesso, nei primi anni ’80, a Mosca, i cessi sotto le mura del Cremlino, all’angolo fra Piazza del Maneggio e Piazza Rossa, in cui succedeva di tutto. Non meno leggendaria era una “banja” a pochi passi dalla Lubjanka, la sede del Kgb, ma praticamente quasi ogni banja offriva, nella penombra dei bagni di vapore, possibilità di approcci con finalità di sesso da consumare in loco oppure, soprattutto in estate, ospitati in una komunal’naja (abitazione in condivisione), approfittando dell’assenza di moglie e figli, e spesso anche dei vicini di appartamento, che trascorrevano in genere le vacanze nelle dacie fuori Mosca.
Come le tre scimmie sagge, sembrerebbe che ancora oggi i gay russi – per una sorta di riflesso condizionato “introiettato” nei decenni difficili del regime comunista – continuino a non voler vedere, sentire o parlare di se stessi. E le disastrose prove di gay pride di Mosca tentate da coraggiosi ma sparuti drappelli di militanti, braccati dalla milizia, dai talebani dell’ortodossia religiosa e dai naziskin, confermerebbero questa triste visione. A guardare attentamente il diavolo però non è così brutto come lo si dipinge. Innanzitutto, si sta consolidando, seppure con un po’ di fatica, una “gay scene” notevole, anche se certo non ancora all’altezza di una megalopoli di 11 milioni di abitanti (più, si dice, almeno un altro milione di “gastarbeiter” e clandestini provenienti dalle altre repubbliche della Federazione Russa e dell’ex Urss). In secondo luogo, qualcosa sta cambiando anche nella percezione generale, anche se certo ci vorranno anni prima che la situazione possa avvicinarsi a quella europea. In terzo luogo, un movimento gay in Russia esiste ed è più consistente di quanto la scarsa presenza di gay locali alle parate dell’orgoglio omosessuale non lasci immaginare.
Nonostante la sensibilità e la coscienza politica facciano fatica a crescere, o quantomeno a manifestarsi apertamente, la scena gay in compenso si consolida e si espande incessantemente, in linea con la generale tendenza che da qualche anno sta trasformando la grigia e tetra ex capitale dell’Impero del Male in una metropoli decadente e raffinata. Jurij Lužkov, il sindaco omofobico che qualche anno fa ha equiparato l’omosessualità al satanismo impedendo con la forza i gay pride, d’altro canto ha contribuito a trasformare Mosca in una città inedita, che pian piano prende il posto della malandata città socialista, ancora visibile nei cortili fatiscenti, nei marciapiedi sconnessi, nei bazar improvvisati nei pressi delle stazioni e nei lunghi sottopassaggi pieni di chioschi che vendono di tutto un po’ e che ricordano l’Asia più che l’Europa. Durante il suo governo è stata rifatta – pur tra le polemiche – la piazza del Maneggio, tramutata nel vero cuore della città, con panchine, fontane, sculture ispirate alle fiabe russe, e i suoi tre piani sotterranei di negozi e boutique di lusso. Durante il suo mandato è avvenuta anche la ricostruzione della chiesa del Salvatore (khram Spasitelja) distrutta ai tempi di Stalin, così come di centinaia di altre chiese, ormai in gran parte (circa 700) riedificate. Non solo chiese e centri commerciali spuntano come funghi in questa Mosca frenetica che ha una fretta dannata di recuperare il tempo perduto, ma anche riconversioni di spazi industriali in luoghi espositivi, di studio e di intrattenimento. Valga per tutti il Vinzavod (4-y Syromjatnicheskij pereulok 1, metro Kurskaja), ex stabilimento per la produzione di vino oggi divenuto un polo culturale molto cool con gallerie di fotografia e arte contemporanea, negozi con creazioni di giovani artisti, cineclub, libreria e un piacevole caffè, il Curcum (pronuncia: tsurtsum) dove mangiare e bere qualcosa in un’atmosfera gay friendly. Stessa atmosfera rilassata e tollerante che ritrovate allo Strelka (“freccia”) annesso all’Istituto di Media, Architettura e Design: affacciato sulla Moscova dirimpetto alla chiesa del Salvatore, questo spazio moderno e funzionale aperto un paio di mesi fa è subito divenuto un must fra la giovane intelligencija moscovita: deliziosa la terrazza riparata da una selva di ombrelloni (Bersenevskaja nab. 14, metro Kropotkinskaja).
In Russia non è ufficialmente in uso l’espressione “gay friendly”, nel senso che nessuno lo metterebbe per iscritto, dato il momento, diciamo così, poco favorevole ai gay. Va però detto che nella sostanza esiste e in pratica sono numerosi i locali in cui una coppia di uomini o di donne si può sentire a proprio agio. Attenti, però: meglio evitare esibizionismi, abbigliamenti e manifestazioni troppo spinte, se non si vuole incorrere nella sgradevole reazione di qualche becero di passaggio. Oltre al Curcum e allo Strelka, segnaliamo anche il City Space, al 34 piano dello Swissôtel Krasnye Holmy (Kosmodamianskaja nab. 52, metro Paveleckaja), con piatti internazionali, cocktail fra i migliori di Mosca e un panorama mozzafiato della città. Nell’intero Swissôtel del resto l’orientamento sessuale degli ospiti non sembra avere la minima importanza: non essendoci ancora a Mosca hotel apertamente gay, questo hotel 5 stelle può essere un’ideale soluzione di pernottamento: in una zona tranquilla al di là del fiume, abbastanza vicino al Cremlino e ai musei più importanti.
Altra avvertenza: in Russia (e Mosca non fa eccezione), la parola “vicino” ha una valenza diversa rispetto alla nostra, come si conviene del resto a un paese che vanta la superficie più vasta del mondo. Quindi, quando vi si dice che un locale è vicino a una certa stazione del metro, mettete in conto che potrebbe esserci da scarpinare anche per uno o due chilometri! Perciò, lasciate a casa i tacchi a spillo e indossate solo scarpe supercomode da trekking, a meno che non decidiate di noleggiare un’auto o farvi scarrozzare da un taxi.
A Mosca scordatevi anche la movida. I pochi locali gay sono sparsi ai quattro angoli della città, a distanze tali che, pur servendovi della fitta, frequente e velocissima rete della metropolitana, in una sera non riuscirete a vederne più di uno o due, tanto più che in genere aprono dalle 22 o 23 e cominciano a funzionare a pieno ritmo non prima dell’una, proprio quando il metro termina le corse. Dopo di che, se non siete con amici locali automuniti, non resta altro che il taxi. State attenti anche ai taxi: costano (come ogni cosa a Mosca, che si contende con Hong Kong la palma di città più cara del mondo), ma ancora più salati possono essere quelli illegali che spesso stazionano fuori dai locali. In questo caso, oltre a spendere cifre da capogiro si può anche rischiare di essere picchiati e derubati (di rado, ma pare succeda). Perciò la soluzione migliore è chiamare col cellulare (comprate una sim card russa, quella base vi costerà non più di 5 euro) il concierge del vostro hotel e farvi mandare un taxi da loro. Altrimenti, arrivate nel locale prescelto entro l’una, passatevi la notte (quasi tutti chiudono fra le 5 e le 6 del mattino) e tornate con il primo metro del mattino, che riprende il servizio alle 5:30.
Alla luce di quanto detto, non c’è quindi da stupirsi se talvolta i ritrovi gay sono difficili da trovare, privi di insegna o con sulla porta una targhetta minuscola e invisibilie da lontano. Armatevi quindi di buona pazienza e non mollate, anche se al numero indicato sembra non esserci nulla: spesso il locale è nascosto nel cortile, dietro l’edificio o in un edificio secondario. Per ragioni analoghe, la gay scene moscovita è estremamente mobile. I locali cambiano spesso indirizzo, probabilmente quando il terreno comincia per qualche motivo a scottare sotto i piedi. Perciò, prima di mettervi in moto, ricontrollate sempre le informazioni su www.gay.ru, un ottimo sito in russo e in inglese.
Scomparse ahimè le “bani”, ossia i bagni di vapore d’epoca socialista, al loro posto sono sorte un paio di saune gay che non sfigurerebbero in alcuna città dell’Europa occidentale. La Majakovka Spa è la più glamour e confortevole, oltre a essere centralissima, a pochi passi (in questo caso, davvero) dalla stazione del metro Majakovskaja e dalla via dello shopping moscovita per antonomasia, la Tverskaja. Celata in un cortile interno dell’Oružejnyj pereulok 13, str. 2, dietro la porta, segnalata solo da una bandierina arcobaleno, vi attende la prima sauna in stile occidentale di Mosca, con hammam, jacuzzi, saletta video, bar e ampio spazio dark con accoglienti e linde cabine dove ruzzare in santa pace. La sauna gay più antica di Mosca è però la Voda (“acqua”), un po’ fuori mano ma anche più ruspante e labirintica della Majakovka, e perciò per i miei gusti più interessante (Bolšoj Savvinskij pereulok). Nel bar, oltre a birra e le solite bibite internazionali, trovate anche un ottimo kvas alla spina, la tradizionale bevanda dissetante a base di acqua, pane nero fermentato, miele e spezie.
Per chi ai bagni e al kvas preferisse i cocktail e l’adrenalina delle piste da ballo, le opzioni più vicine agli standard internazionali, nel bene e nel male, sono due locali storici. Il Duša i Telo (Anima e Corpo) si vanta di essere il più antico locale gay di Mosca: due piste da ballo, quattro bar, immancabili darkroom e perfino una sala biliardo (Kuusinena ulica 19A, metrò Poležaevskaja, zona ovest della città). Dalla parte opposta, a est del centro, si è trasferito di recente il suo maggior concorrente, il Tri Obez’jany cui si accennava all’inizio (Nastavniceskij pereulok 11, str. 1; metrò Chkalovskaja). Stessa proprietà del Voda, Le Tre Scimmie pare invece essere il club gay più grande di Mosca: tre piani, tre bar, ristorante, aperto dalle 22 alle 7 (mentre al Duša i Telo si folleggia “solo” dalle 23 alle 6). Le fanciulle possono dal canto loro scatenarsi all’Udar (Olimpijskij prospekt 16, metro Krasnye Vorota o Komsomolskaja), il più grande club lesbo della Russia, di cui si dicono meraviglie. Un caso a parte è il Propaganda, uno dei locali-leggenda di Mosca, nel centrale e antico quartiere di Kitaj Gorod. Misto durante tutta la settimana, ma ufficialmente glbt la domenica dalle 22 all’alba, vi si viene solo per ballare seriamente: niente commercial, ma solo techno e deep house di qualità, e pubblico molto giovane. Scenografia industriale (mattoni e ponteggi) e un solo bar, ma efficiente. Gli amici del posto sostengono che la musica e i cocktail non sono più quelli di una volta, ma in mancanza di alternative più valide resta un punto fermo delle notti moscovite (7 Bolšoj Zlatoustinskij pereulok, metro Kitaj-Gorod o Lubjanka).
Ambienti forse un po’ provinciali, ma anche più autentici, sono offerti dal 911 (o Cifry) e dall’El’f Cafe, due piccoli disco-bar, dove ci si può ancora immergere in simpatiche atmosfere d’antan. In posizione piuttosto centrale (Glinišcevskij pereulok 3, metro Puškinskaja), anche il 911 Cafè è annidato nel cortile, ma subito a destra: un paio di salette nel seminterrato, tranquillo, ottimo per bere e mangiare qualcosa prima della sauna o della discoteca, anche se potreste passarci anche tutta la notte: il 911 infatti è aperto dalle 16 alle 6 del mattino, e nei weekend si balla anche. L’El’f Cafe si trova “vicino” al metro Belorusskaja, dirimpetto all’hotel Soveckij. Se è la sera giusta, è frequentato da una simpatica e varia umanità (dai trans alle donne biologiche, dagli orsi alle secche gazzelle manierate) con tanta voglia di stare insieme ed esibirsi in un’atmosfera familiare, quasi da bar di quartiere. Di giorno è un normale caffè-tavola calda per gli impiegati dei dintorni, dopo le 20 diventa gay bar ma si anima davvero, come tutti i locali di Mosca, non prima di mezzanotte e resta aperto fino alle sei.
Come si vede, non si tratta certo di una scena gay degna di una metropoli di tali dimensioni. Tuttavia, l’impressione che si ha è che a Mosca anche il mondo glbt sia in una fase di fermento e di crescita. Quest’anno la manifestazione del gay pride – pur contando come al solito forse più fotografi e giornalisti che attivisti – comunque si è tenuta e i manifestanti sono riusciti anche a srotolare una lunga bandiera arcobaleno e a sfilare con cartelli e scandendo slogan (YouTube: http://tiny.cc/74zv2 e http://tiny.cc/dul5x) per qualche decina di minuti. L’impresa stavolta è riuscita non perché sia mutato l’atteggiamento delle autorità, ma solo perché il movimento ha adottato una tecnica da guerriglia, diffondendo false informazioni sull’ora e il luogo del raduno e poi manifestando altrove e in un altro momento. Nonostante le immagini che da cinque anni fanno il giro del mondo trasmettendo l’impressione che il movimento glbt in Russia conti solo quattro gatti battaglieri ma braccati e senza seguito, va detto che non è così. Il movimento è più esteso di quanto i gay pride lascino immaginare, soltanto è molto frammentato e diviso circa le strategie da adottare, e la maggior parte dei militanti di questa nebulosa ancora semiclandestina è convinta che la situazione non sia matura per intervenire all’esterno. In questo momento, sostengono, i gay pride capeggiati da Nikolaj Alekseev rischiano di fare solo danni, suscitando più avversione che simpatia, sia fra le fila più aperte e progressiste dell’opinione pubblica, sia fra gli stessi gay. Molti credono che si debba prima consolidare le proprie fila, fare lobby e preparare il terreno perché le nuove generazioni – quelle nate dopo la caduta del regime sovietico che il famoso paragrafo antiomosessuale abolito nel 1993 lo conoscono solo per sentito dire – possano entrare nella vita adulta con la testa ormai così sgombra da pregiudizi da non avere più paura di uscire allo scoperto.
Basta andare al Propaganda la domenica sera per vederli, questi ragazzi, e rendersi conto che appartengono davvero a un altro mondo. In ogni caso tutti sembrano concordi nel dire che non passeranno decenni, ma solo qualche anno prima che questa rivoluzione avvenga. Igor Petrov, capo della Rete glbt russa, assicura che nonostante le apparenze e le difficoltà, la situazione dei gay e delle lesbiche in Russia sta migliorando molto rapidamente. Del resto, è sufficiente andare nei locali, nelle discoteche, nelle saune o nei luoghi di battuage all’aperto o nelle spiagge sulla Moscova, nei negozi più o meno ufficialmente rivolti a una clientela gay (fino a qualche anno fa impensabile in Russia) per rendersi conto che appena sotto la superficie ferve una vita omosessuale affollata e tranquilla, per niente intimidita e spaventata, che aspetta solo il momento giusto. “Qualche anno fa non eravamo affatto sicuri che in Russia esistesse un movimento lgbt,” dice Marija Sabunaeva dell’organizzazione Gender-L, “oggi siamo sicuri che esiste, e per noi questo non è affatto poco”.
Insomma, l’ex capitale dell’Impero del Male, grigia e cupa, negli ultimi 5 anni è cambiata più profondamente che nei precedenti 50, e sta diventando una delle metropoli maggiormente votate al consumo e al divertimento, una città che vive di giorno e di notte, senza posa. Non solo locali, club, saune, discoteche, ma anche negozi di ogni genere (finanche di calzature) aperti 24 ore su 24. Perfino la mafia violenta che aveva fatto pessima pubblicità a Mosca negli anni ’90, ormai sembra essersi incivilita, forse capendo che il business si fa meglio senza terrorizzare locali e turisti con bombe e sventagliate di kalashnikov, ma organizzando con professionalità e discrezione prostituzione, spaccio di droga, pornografia e affari simili.
Guai perciò a lasciarsi spaventare da informazioni e immagini amplificate dai mass media e dalla lontananza. Mosca, anche per i gay, vale assolutamente una visita. Oggi. Senza aspettare gli effetti “benefici” delle parole, tutto sommato sorprendenti, di un cultore del machismo come Putin, che un po’ di tempo fa, riferendosi pare proprio ai gay, avrebbe dichiarato di rispettare la libertà in tutte le sue forme. O senza aspettare che Jurij Lužkov si incivilisca o non venga rieletto alle prossime elezioni. È solo questione di tempo, perché quelli che contano davvero in Russia (oligarchi, imprenditori, mafia) prendano coscienza che il mondo gay rappresenta anche un succulento business e comincino a proteggerlo e blandirlo come si conviene. Perché in Russia, caduto il comunismo, ormai si crede solo al dio denaro.
E se fra qualche anno la città omofobica di Jurij Lužkov si tramuterà come per magia in una delle capitali gay mondiali, la cosa non ci stupirebbe, conoscendo la natura appassionata e la capacità di bruciare le tappe dei russi. E allora, chi vuole fare colpo sugli amici che continuano ad andare nelle solite Barcellona, Berlino, Rio o New York, cominci a partire in avanscoperta al grido cekhoviano di: “A Mosca, a Mosca!”